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domenica 21 settembre 2014

Faber è di tutt@

"Benedetto Croce diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest'età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che, in quanto forma d'arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti,
là dove manca l'esuberanza creativa".
  
(Fabrizio De André)
Amico Grande 

di Matteo Tassinari
Come vedete, ho aperto un altro blog. Pensate a chi l'ho dedicato: Fabrizio De André, il mio mentore, la mia primaria fonte di saggezza umana assieme a Pasolini, il mio riferimento culturale da cui attingo il modo di pensare e vivere, ci provo, rimanendo sempre me stesso. Nessun testo di De André mi è mai passato indifferente. Nessuna canzone, ma proprio nessuna, è finita nel dimenticatoio. Tutte ancora lì a macinare i propri interstizi inconsci. Ma a voi non ve ne fotte nulla, giustamente. Andiamo avanti, parlando di lui.
Non mi   stancherò    mai di parlare di Faber è un dovere oltre che un piacere e soprattutto è un grande favore che noi facciamo alle generazioni future. Ritengo, caratterialmente, sia la persona che più mi somiglia. Oltro! Sei proprio forte Matteo. Da solo te la fai e sempre da solo te la disfi. Dico, a me stesso, che somiglio a De André, mica male! Come mia cugina, solo perché è mora, dice che ricorda la Bellucci. Diciamo allora che mi piace molto quello che ha cantato in 35 anni di carriera, fatica e rara bellezza. Per parlare, senza ripetersi, del lavoro di De André, cosa ormai impossibile in quanto è stato detto tutto il possibile e anche perché De André non ha lasciato molto materiale se consideriamo che ha cantato per 35 anni, il criterio più appropriato, è quello musico-letterario. Tutte le altre considerazioni sono spesso superflue, si sanno, o talvolta sono addirittura fallaci. Ebbene, sotto questo profilo, la peculiarità della produzione faberiana, è assai significativa (e rarissima).
Qui Fabrizio stringe l'amica Fernanda Pivano a cui tutti noi, magari senza saperlo, dobbiamo molto. "Caro Faber, parli all’uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il dubbio che Dio esista. Grazie. Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo, prete da marciapiede". Don Andrea Gallo.
L'assenza era rapita
dalla       sua presenza
Anche    quando non c'era, De André spargeva lacrime di carisma e lo aveva fatto per tutta la sua vita, ombrosa e riservata, come il primo vero intellettuale della nostra canzone, colui che ha traghettato verso la modernità le inquietudini della gente e del gruppo di cantautori genovesi, i primi ad usare l'amore come lente esistenziale per capire il mondo e noi stessi. Era già molto, ma pochi anni dopo arrivò lui e improvvisamente si completò la rivoluzione blanda in atto. No più solo amori desolati e fragili, ma parabole, canti colti, citazioni medioevali, un provocatorio e costante intreccio tra sacro e profano, tra cultura alta e bassa, tra sublime e volgare. Un pò come sono tutti gli uomini del resto, di cui De André, sul piede della lezione dei francesi, si dimostrò acuto e implacabile osservatore. Si poteva osare, si poteva affrontare qualsiasi tema, di più, si poteva brandire una canzone come arma anarchica e indipendentemente contro l'ipocrisia, contro la doppia faccia delle istituzioni e società perbene e assassina. Le sue canzoni rivelarono che la canzone, perfino quella italiana, poteva permettersi ogni licenza artistica.

Se proprio dovessimo 
pesare il peso dell'influenza che De André ha avuto sugli altri cantautori, dovremmo pensare alla capacità di svelare di aprire, di non istigare imitazioni ma ispirare libertà. Quelli che più sono stati segnati da Faber, sono quelli che gli somigliano meno. Che è la cosa più bella che possa capitare ad un maestro. E' successo a Dylan, è successo a John Lennon.

La parola, cantata,
che temeva e rispettava

al punto di aspettare mesi, anni, finché non emergeva quella giusta, quella che poteva stare solo lì, quella che avesse forza e significato, quella parola, non un'altra. In questo Faber, era il migliore. Si pensa soprattutto al poeta, ma ci si dimentica la voce di De André, nitida, consolatoria, ferma, profonda, scolpita come un bassorilievo che riempiva l'aria con un'autorità che nessuno ha mai posseduto. Prima d'iniziare a cantare in pubblico ci vollero 14 anni, ma doveva prima bersi una bottiglia intera di Johnny Walker, una clausola, per rallentare l'adrenalina che viaggiava a mille nelle vene di Fabrizio. La sua storia, è la storia di un musicista che aveva intuito una cosa fondamentale, mentre gli altri procedono a cappella: la trasformazione, la mutazione. Pensate a "Crueza de mà" o alla "Buona novella", pensate a quanto siano distanti eppure anche in quell'occasione c'erano punti congiunzione.                                                            
                                                                                                                                                                                                                                                                                               
                                                                                                                                                                                                                                                   
      Incantatore di
         suoni, timbri
e letteratura
Non era un  poeta tout court, tutt'altro. Era un incantatore di suoni, interpretazione della voce sua riguardo a quello che diceva, come se ogni parola o congiunzione, avesse un volto, una faccia che lui sapeva scoprire. Poeta lo diventava quando s'immergeva nei sui dischi, la creazione di un disco può richiedere anche tre anni e talvolta anche di più,  francamente, aveva in testa, ultimamente, solo la sua Tenuta in Sardegna, L'"Agnata", che da un rudere aveva tirato su una casa dall'edera avvolta. Del resto, il senso dell'estetismo, presumo che non l'avesse solo quando scriveva canzoni, è in lui, quindi se lo porti dietro dovunque.
In tutto   questo percorso,
dove avvenne anche un sequestro nel 1979 nella blocco montuoso Gennargentù, poi s'è saputo ch'erano in piena Barbagia, durato 3 mesi. Anche lì Faber allibì chi seguiva la vicenda. Arrivò a perdonare i suoi sequestratori: "noi siamo fuori, loro sono in carcere e se escono, lo fanno per beccarsi una pallattola in testa", e si rese parte civile contro i mandanti che considerava dei criminali capaci a far del male alla gente. All'inizio erano 2 miliardi, poi calarono 500 milioni, forniti dal padre che era il braccio destra dell'imprenditore Attilio Monti, poi Montedison di Raul Gardini, Dori Ghezzi, sua ex moglie, è stato il pilastro del suo mondo, dopo una vita vissuta nell'angiporto genovese, ossia la parte più malfamata e avventurosa di Genoa, quella dove andavi e succedeva sempre qualcosa che valesse la pena di vedere o sentire. Che dormisse di mattino fino a tardi pomeriggio lo sanno tutti, ma lui, quando capiva che aveva imbroccato il passo e la nota giusta, correva alle 4 di notte, svegliava Dori e gli faceva sentire il passaggio con chitarra e la sua cellula di Dio appena azzeccata. La creatività è più forte della cocaina. 

Non serratelo
in un recinto
Guai  ad imprigionare De André sotto qualche bandiera. Lui odiava le bandiere, i segni di riconoscimento, anche i documenti gli stavano stretti, di qualsiasi tipo, gli erano tutti stretti. Guai a dare una lettura politica ai suoi testi. Dalla Maddalena al transessuale "Princesa", dai ladroni in Croce insieme a Cristo, quell'umanità di puttane e puttanieri, ladri e biscazzieri, ma anche di minoranze colte, minoranze etniche e religiose e sociali, non ha mai alcunchè di oleografico. Sia perché l'ironia è sempre vigile, sia perché, il presepio, a De André, non è mai piaciuto. O meglio, gli piaceva quello dei vangeli apocrifi. De André canta e a sua insaputa i Servizi segreti schedarono gli spostamenti del cantautore.


Personaggio pericoloso.
Mancava Losco Individuo
Viene  da 
sorridere.    Uno canta
(e in che modo) di pace, della conclusione di tutte le guerre per tutta la sua vita, denuncia i soprusi del potere verso i più deboli e dove va a finire? Sul taccuino "nero" dei Servizi segreti antiterrorismo italiani. Mi pare logico, secondo le regole poche, ma ferree (come le idee) degli apparati statali dediti alla sicurezza dell'Ordine (e disordine) targati anni '70. Verrebbe da ridere, se non fosse che è tutto vero tutto "messo a verbale", per parlare con il linguaggio di quegli ambienti dall'odore di ufficio statale vuoto. Solo perché donava una quota mensile per un abbonamento ad una rivista considerata dai Servizi extraparlamentare (in quegli anni ce n'erano a migliaia) era per forza un'allineato, un fiancheggiatore, questi erano i termini della questione. 
Fabrizio De André alla Tenuta dell'Agnata in Gallura













"Sovvertitore
della Patria"

Mquesto, agli Spioni di Stato, sfuggì sempre, come il gracchiare delle cicale in dicembre sotto la neve. Basta leggere il loro frasario per capire il livello mentale e di percezione che aveva quella gente che pedinava per conto di chissà chi il cantautore genovese. De André, a sua insaputa, era stato MARCHIATO a vita come "Sovvertitore della democrazia e della Patria", della quiete democratica e di chissà cos'altro ancora. Il fatto è che lui non si è mai proposto o atteggiato come agit-prop, un filosofo figuriamoci, gli prendeva un colpo se qualcuno lo chiamava così, lui sapeva chi erano i veri filosofi, la fedina penale pulita come Bocca di Rosa. Niente. Però, per quei capponi dei Servizi, era "personaggio infido e pericoloso", dichiarano nei dossier. Un modo come un altro per perdere tempo. Tutto iniziò a ridosso dell’attentato di piazza Fontana, quando gli attivisti della sinistra extraparlamentare di allora furono sottoposti a perquisizioni e interrogatori, senza spiegazioni o preavvisi. Tra le centinaia d'inquisiti figura un certo Mabellini, considerato vicino a lotta Continua.


Misteri puffi
Si legge in   una nota informativa del Sismi: "Il Mabellini è in amicizia con tale De André Fabrizio, non meglio generalizzato, ligure, universitario a Milano, noto cantautore e contestatore", da ridere davvero, immaginare quattro ventri obesi, le scrivanie anni '70 e la macchina per scrivere Olivetti, alta, quella tipica delle caserme dell'epoca durante gli interrogatori dove si volava per cadere sull'asfalto senza averci capito nulla. Con inflessibile logica burocratica, misera e amministrativa, stupirebbe il contrario. La segnalazione coinvolge il musicista nelle indagini, sempre a sua insaputa. Dal ministero dell’Interno chiedono ragguagli al questore di Brescia che aggiorna il fascicolo con le seguenti parole: "Le Questure di Milano e Genova sono pregate di identificare subito il De André Fabrizio e fornire direttamente sul suo conto dettagliate informazioni". Fabrizio, intanto, componeva la "Canzone dell'amore perduto", scriverei per controverso a sua insaputa ostinata e contraria. Dal sublime al ridicolo, talvolta, c'è soltanto un passo, come disse l'imperatore francese sporcaccione che ravanava sovente le proprie cavità auricolari. Oggi è il 21 settembre, ossia san Matteo, il mio santo omonimo.
Il poeta Riccardo Mannerini, grande amico di Fabrizio