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lunedì 21 settembre 2015

La Buona Novella

Il sogno di Maria secondo Faber

... e le mie braccia divennero ali



        di Matteo Tassinari
"Nel grembo umido scuro del tempio, l'ombra era fredda gonfia d'incenso. L'Angelo scese come ogni sera ad insegnarmi una nuova preghiera". Una preghiera rivolta verso tutto quanto sia in grado di farci sentire vivi, per non restare chiusi nelle proprie galere mentali e spirituali. La Buona Novella è un affresco della storia del Cristo vivente, l'uomo di cui Fabrizio De André si era innamorato da ragazzo. Affascinato dalla storia dei Vangeli, il cantautore genovese decide di prendere spunto da essi per un viaggio musicale lungo le vie della Galilea.
Vangeli
apocrifi
Da laico, Fabrizio De André, riesce a mantenere il necessario distacco da un tema così sentito, sacro, maestoso, celeste e immutabile nei millenni. La forza del canto sottrae Maria e Giuseppe all'oleografia catechistica iniettandovi il sangue della realtà, il grigiore dei giorni, la promessa di un futuro, la tenerezza del ritorno, le angosce che l'uomo e la donna, inevitabilmente, sono costretti a vivere. I Vangeli sono quelli apocrifi (nascosti) ossia i libri scritti da bizantini, greci, fenici, armeni e non riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa.
Il Mistero   che
lievita il ventre


   De André
  si ispira
per lo più al Protovangelo di Giacomo, secondo gli apocrifi, fratellastro di Gesù. La protagonista della storia, è la Madonna che racconta il Figlio attraverso gli occhi di madre e di donna. Il Mistero che lievita il ventre di Maria capace di soffrire, come solo una donna sa, di fronte alla crocifissione e i colpi di petto sulla croce del Figlio. Il grido di Tito, il buon ladrone, in grado di provare dolore soltanto nel guardare gli occhi dell'uomo che accanto a lui sta morendo e non nell'obbedienza a un comando astratto. "Femmine un giorno madri per sempre", l'Ave Maria non è un rosario da ripetere a memoria, ma una melodia ritagliata sui gesti di una donna.
Il disco fu accusato di anacronismo, al punto che gli estremisti lo criticarono dicendo: "Ma come, noi andiamo a combattere nelle università, facciamo le barricate contro i manganelli della Polizia e tu ci vieni a parlare della predicazione del Cristo?". "La Buona Novella, è un’allegoria", l'artista lo ribadisce nel tour del ‘97/’98 quello dove sbocciano tarocchi stupendi persiani.
La superficialità
 del '68
  "Non
      avevano
     capito,
almeno la parte meno attenta di loro, che 'La Buona Novella' è un'allegoria dove si paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli del Movimento Sessantottino, a cui io stesso ho partecipato, con quelle, molto più vaste spiritualmente, di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere, i soprusi dell'autorità si era fatto inchiodare su una croce, in nome di una fratellanza e di un egualitarismo universali. Gesù Cristo è il più grande rivoluzionario della storia".
Questa fu la risposta di De André a chi lo accusava di disimpegno alla lotta urbana e per di più parlando di Gesù. L'ideologia ammazza il tuo simile.
L'ideologia è ignoranza pura
L'ignoranza aleggiava alta in quel periodo, c'era in giro un'idealizzazione pazzesca, da perdere il senso dell'umanità, del gratuito, tutto era vero solo se combaciava con le idee dei "rivoluzionari" e se così non fosse il tempo poi ha dimostrato il vero, immagini stupende, spirituali, eteree, emblematico, candido, visioni che lambiscono e giocano con la purezza. "Non avevano capito che la Buona Novella, voleva essere un inno al senso di pietà e amore più alto e infinito. Erano un pò sciocchi, diciamolo pure", e alcuni si sentivano i nuovi Marcuse pronti ad indottrinare altri che non sapevano che fare della propria vita.
Il sommo 
Fabrizio De André non racconta sogni, ma realtà rivestite di contenuti onirici. Come Dante Alighieri che nella Divina Commedia non narra favole ma cronache proiettate in una prospettiva ideale e simbolica. Paolo e Francesca non sono invenzioni poetiche ma personaggi della cronaca tempo che nell'ispirazione dantesca diventano l’icona dell’amore immortale. "Le istanze più alte, quelle della predicazione del Cristo", ha ribadito De André, non un disco fuori dal tempo, ma nel tempo.
La diffusione degli insegnamenti di Gesù, sono mal visti e temono la perdita del Tempio. Càifa, sommo sacerdote, si scaglia contro Cristo
Rendere all'umanità
Dopo l’uscita, ha spiegato il cantautore genovese, mi chiamarono teologi, storici, studiosi delle sacre Scritture, limitandosi a prendere dei personaggi consacrati e a renderli più umani. L’autorità incarnata dai sacerdoti, farisei che cacciano Maria dal Tempio, rea di essere diventata una donna, per non macchiare di rosso con la sua verginità le sacre porte del Tempio. Questa era la "colpa". Come a dire, per Te io sopporto l’insulto e la vergogna mi copre la faccia, diventando un estraneo ai miei fratelli che errano attratti dal Messia, ma non colgono l'essenza della vita del Crocifisso. "Perché mi divora lo zelo per la Salvezza di ogni essere umano, gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me".
Prodotta
da Roberto Danè
e composta da De André, insieme a Giampiero Reverberi, la Buona Novella, rappresenta una tappa fondamentale nel percorso artistico di Faber. Al centro della narrazione non c’è Gesù, ma Maria, il Figlio viene, raccontato attraverso gli occhi della madre. Il Sogno di Maria, è la storia dio una giovane donna, che intenta ad abbracciare l’Annuncio della Maternità. La Maternità e l’amore hanno le sembianze di un angelo e di un sogno. Con le ali di prima, pensai di scappare, ma il braccio era nudo, e non seppe volare, poi vidi l’angelo mutarsi in cometa, i volti severi divennero pietra, e le loro braccia profili di rame, nei gesti immobili di un’altra vita, foglie le mani, spine le dita. Ricco d’immagini poetiche. Il brano racconta le sensazioni di una sposa bambina che vede le sue braccia trasformarsi in ali. L’Angelo è l’anello di congiunzione tra il desiderio di trascendenza e la voglia di restare aggrappati alla concretezza della vita.
L'Angelo e la
congiunzione
La maternità e una terra di mezzo dove trascendenza e immanenza s’intrecciano come alberi. L’Angelo è la figura che forse meglio di altre riesce a rappresentare questa promiscuità tra cielo e terra. Non così solenne come un Dio, ma neppure fragile e vulnerabile come un uomo. 


Il tema della donna che attraverso l’amore si trasforma, in De André, tocca vette altissime grazie ad una musica capace di accompagnare con accordi essenziali, come pennellate sulla tela, il viaggio. Se nel Sogno di Maria Faber canta il messaggero alato dove angeli e sogni confondono le traiettorie solite, in quella variopinta partitura che è la musica, finestra dagli infiniti a cui affacciarsi in cerca di un sostegno, qualcosa che ci superi, che abbandoni per sempre le nostre paranoie, le nostre inutilità a cui diamo troppa importanza.         

mercoledì 12 agosto 2015

Poeti libertari

CANTICO      DEI
FOLLETTI DI VETRO 
Fabrizio De André e l'amico e poeta Riccardo Mannerini


Tutti      moriremo

soli    e a stento
Era il  1968, un anno come tanti, quando uscì Tutti morimmo a stento mente, un Lp che spinse De André a mettere benzina nelle sue virtù artistiche. In un'intervista, Fabrizio disse a proposito di TUTTI MORIMMO A STENTO: "In effetti, a ripensare le canzoni sono tutte belle. Forse è solo il predicozzo finale, il recitativo, che oggi mi dà fastidio". E' inutile. De André non riusciva a combinare qualcosa di perfetto, anche quando lo era. Non c’è tema – trattato nelle canzoni, ma anche incontrato in strada o nei libri – che sfugga al suo interesse, accompagnato dagli autori delle notti di lettura, da Plotino e Platone, da Petronio e Apuleio a Spinoza, Hegel, Adorno fino a Sartre, da Verlaine a Camus e Proust, da Šolochov e Steinbeck a Sepúlveda e Álvaro Mutis.
Entusiasta
L'album invece, il discografico di De André, Antonio Casetta, che probabilmente ebbe l'idea di realizzarne una versione in inglese. Non si sa chi effettuò le traduzioni, ma tant'è. De André "riincise" tutto l'album in inglese (si presume riutilizzando le basi musicali). Il disco però non uscì mai sul mercato, e se ne perse traccia. Un piccolo estratto, circa 30 secondi, venne trasmesso in una trasmissione di Rai2 che parlava di rarità.
Nel settembre del 2007
un collezionista mostrò un album, trovato negli USA, con la copertina completamente diversa da quella italiana a dimostrazione che Casetta era arrivato a produrre almeno un vinile. I titoli delle canzoni erano stati tradotti. Per quanto si può valutare ad un ascolto parziale, l'inglese sfoggiato da De André non è gran ché fluido e la resa è lontana, per esempio, dal saggio di bravura della versione spagnola di Smisurata preghiera. Ma il disco si fa ascoltare e la voce calda di Fabrizio mantiene intatta la sua bellezza.
L'apice amicale
Perché l'avventura americana non sia andata a buon fine, questo ancora oggi non s’è capito bene. Un mistero. Più chiaro, invece, è l'episodio dell'uscita o pubblicazione di "Senza orario senza bandiera" fu un successo straordinario, un successo per tutti, anche per Riccardo Mannerini che poté così vivere il periodo più felice della sua tormentata vita artistica e privata. La celeberrima “Cantico dei drogati”, da considerarsi l’apice del sodalizio amicale e artistico di Frabrizio e Riccardo e che sarebbe stata inserita in Tutti morimmo a stento, concept album registrato nell’agosto del 1968 e pubblicato l’anno successivo. Lp che provocò a De André un risentimento forte e pentimenti per alcune parole che non avrebbe scritto.
                                                                CANTICO
                                            DEI        DROGATI
Ho licenziato Dio, gettato via un amore...
L'album è frutto della proficua collaborazione, tra Fabrizio De André, Riccardo Mannerini (per i testi) e Gian Piero Reverberi (per gli interventi sulle musiche). Riccardo Mannerini fu un grande e misconosciuto poeta italiano: un poeta con la "P" maiuscola, disse De André ad una Enza Sampò scombussalata, quasi disarmata, dall'atteggiamento glaciale di Faber in una trasmissione Tv degli anni '60.
Una Sampò memorabilmente impaurita
Era nato a Genova nel 1927, aveva tredici anni più di Fabrizio, e come lui era uno spirito libertario nel vero senso della parola, uno spirito anarchico, come Fabrizio. Mentre faceva il frigorista su una nave da carico, un incidente lo rese praticamente cieco a causa di una esplosione di una caldaia che gli scoppiò in faccia. Ciò nonostante continuò a scrivere poesie, sempre più intime e profonde con larghi margini di disperazione, come era nel suo stile ed aveva sempre fatto. Ebbe una moglie, Rita Serrando, che gli restò accanto per tutta la vita e un figlio, Ugo. Riccardo Mannerini, morì nella primavera del 1980. "All'alba non muore soltanto la notte, muore anche l'uomo e il suo divenire e il sangue caldo che bagna il selciato, è un discorso appena iniziato".
Mannerini e De André erano uniti da profonda amicizia, tanto da condividere un monolocale soppalcato in salita Sant'Agostino dove passare i pomeriggi e le notti dell'angiporto genovese, a fianco di via Prè. Si erano conosciuti in casa di amici comuni e il loro sodalizio portò alla musica capolavori indimenticabili come il Cantico dei drogati, appunto, e Senza orario senza bandiera, primo album dei New Trolls. Fu lui - attivista della Federazione anarchica genovese, come tale noto anche alla polizia ad approfondire in De André il sentimento anarchico. Fu seguito dai Servizi per 20 anni senza tirar fuori nulla. Avranno la soddisfazione di aver visto molti concerti del Faber.
L'osceno gioco
Cantico dei drogati, derivata da versi di Mannerini in virtù di una rivisitazione poetica quale solo il miglior Faber più puro e idealista sapeva produrre. Un autentico capolavoro che dopo oltre quarant'anni conserva ancora intatta tutta la sua valenza, originalità e potenza espressiva. Ecco alcuni passaggi della poesia Eroina dai quali Fabrizio ha chiaramente tratto spunto dalle poesie di Mannerini. "Grazie all'alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima", dice de Andre' e, assieme al suo amico anarchico, poeta, marinaio, viene nelle nostre menti a parlarci dei Folletti di Vetro, di un Osceno Gioco e, già, di una madre al quale non si sa come confessare la propria paura.
Riccardo
Mannerini
quante volte devono essersi detti che quest'uomo portava il mio stesso nome. Marinai per destino o per forza. Riccardo che ormai non vedeva più che folletti, dato che la luce nei suoi occhi s'andava spegnendo sempre di più. Gli occhi regalati ai padroni, i suoi occhi per loro. Nessuno glieli ridiede, neanche come i fiori restituiti in novembre. Mannerini, era decisamente una delle figure più importanti e formative, della sua vita. In questo senso si nota la ricerca di una figura paterna a cui era molto, forse troppo, attaccato a suo padre, prima Bindi, poi Brassens, poi ancora Mannerini. Si, De André era il “perfettore” ossia colui che rende speciale e magnifica una cosa già bella di sua. Il manifesto pubblicitario del libro di poesie di Riccardo Mannerini pubblicato nel 2009 recitava: "Come potrò dire / a mia madre / che ho paura? ... Ho licenziato / Iddio / e buttato via una donna/ Sono sospeso a un filo / che non esiste / e vivo la mia morte / come un anticipo tremendo. Solo quando / scadrà l'affitto / di questo corpo idiota / avrò un premio. / Sarò citato / di monito a coloro / che credono sia divertente / giocare a palla / col proprio cervello".
       La droga
             di cui           vivevano
Riccardo e Fabrizio era l'alcol. Nelle parole di De André: "La mia droga è stata l'alcol, io ero proprio marcio fino al 1985. Bevevo due bottiglie di whisky al giorno, e questo praticamente da quando avevo diciotto anni, da quando ero andato via di casa. Ne sono uscito perché mio padre, con il quale avevo ricostruito un ottimo rapporto, sul letto di morte mi chiamò e mi disse: “Promettimi una cosa e io: Quello che vuoi papà. Smetti di bere. E Faber esplose in un: ma porca di una vacca maiala, ma proprio questo mi devi chiedere?” Io, praticamente, avevo un bicchiere in mano. Ma ho promesso. E ho smesso. 
Scrivere il Cantico dei drogati,
che aveva una tale dipendenza dall'alcol, ebbe un valore liberatorio, catartico. Però il testo non mi spaventava, anzi ne era compiaciuto. E una reazione frequente, tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi.
E’ normale fra drogati o alcolizzati compiacersi di bere o eroina.
Il poeta Riccardo Mannerini
I personaggi della canzone che inizialmente doveva intitolarsi Cantico dei folletti di vetro (il vetro delle bottiglie dei superalcolici), sono i drogati rappresentati dall'interno. Un viaggio nella mente di chi ha "il vuoto nell'anima e nel cuore", non riesce che a blaterare suoni incomprensibili e vive in un mondo popolato di fantasmi ("non vedo più che folletti di vetro").
        Un futuro migliore
La speranza in un futuro migliore se n'è andata ("chi mi riparlerà di domani luminosi / dove i muti canteranno e taceranno i noiosi"), "i mediocri continueranno ad avere ragione, i semplici staranno zitti".
Si recrimina sul mondo (le "grandi pattumiere") e su chi ci ha messo al mondo. Se non si dovesse capire.

lunedì 27 luglio 2015

Brassens: il De André di Paris

George Brassens



L'anarchico di Sète

                di Matteo Tassinari
Fabrizio De André era uno che ci teneva alle sue idee, e non voleva sporcarle con la realtà, per questo non volle mai incontrare George Bressans per paura di rimanere deluso. Nella fantasia del poeta genovese,  Georges Brassens (1921-1981) era il maestro, al punto che arrivò a dire: “Non so se fossi quello che sono se non avessi conosciuto, tramite i suoi dischi, Brassesns”. Un amore viscerale, al di là del consueto, un amore poetico. Brassens, in Italia, dov'è stimatissimo da pochi intellettuali, pittori e poeti e invece scarsamente noto al grande pubblico, il pubblico del sabato sera non lo conosceva, un pò com'è vero che per conoscere una donna occorre una vita intera. E spesso non basta.
In Francia, al contrario, ha sempre goduto di straordinaria popolarità e non si contano le scuole, le strade, le piazze, i parchi e le istituzioni culturali che gli sono dedicati. Una celebrazione della memoria che non è avvenuta per nessun altro dei pur grandi esponenti della canzone francese. A quasi trent'anni dalla sua scomparsa il suo ricordo è oggi più vivo che mai. La maggior parte dei francesi, che lo chiama affettuosamente Tonton Georges o le Bon Maiìtre, il Buon Maestro, conosce le sue canzoni e quasi tutti i critici hanno riconosciuto il valore indiscusso di un artista capace di rendere popolare e fruibile, mettendola in musica, una vasta parte della poesia francese.
Melodie semplici,
profonda poeticità
Così le canzoni di Brassens, interpretate da artisti di tutto il mondo, continuano a essere trasmesse dalle radio e la gente le ama, perché ascoltandole continua a divertirsi, a commuoversi e a pensare, mentre i testi vengono studiati e commentati nelle scuole. Melodie semplici, profonda poeticità dei testi, un vasto repertorio di invenzioni linguistiche uniche e di immagini geniali, la capacità di dipingere con vivacità ironica, corrosivo anticonformista e insieme tenerezza un affresco della condizione umana. Del resto, il cuore a vent'anni si posa, dove l'occhio si posa.
Il poeta francese Paul Valéry
Il movimento simbolista 
Ecco le "chiavi" di uno degli artisti più amati del patrimonio culturale non solo francese. La semplicità di Brassens è però frutto di un estenuante lavoro delle canzoni, perfezionate allo stremo, si ritrovano fino a cinquanta versioni provvisorie e le parole sono il risultato di mesi di lavoro, correzioni, revisioni continue. In vita, Brassens fu un personaggio molto discreto. Nacque a Sète, la città del poeta Paul Valéry, nell'ottobre del 1921. Dal padre ricevette i valori di un uomo semplice, l'odio verso ogni forma di ipocrisia e un bagaglio costituito di gran parte delle idee laiche dell'epoca. Cominciò gli studi di diritto, pubblicando, nello stesso anno, i suoi primi versi nella Revue maritime de Marseille. Queste sue prime opere sono ascrivibili al movimento simbolista. E' considerato a livello internazionale come uno dei più grandi maestri in assoluto della canzone d'autore dei più grandi maestri in assoluto della canzone d'autore.

Senza
pudore 

Per riconoscere che non siamo intelligenti, bisognerebbe esserlo, amava ripetere durante i suoi spettacoli. Il suo punto cardine fu sua madre di origini napoletane, convinta credente, ereditò la sensibilità agli archetipi religiosi che si manifesterà spesso nella sua opera e anche qualche scrupolo. In varie canzoni del primo periodo proprio l'evocazione della madre farà calare un velo pudico sulle espressioni più crude e scurrili, come in Le Gorille: "senza pudore, queste comari contemplavano l'animale in un posto ben preciso. A Sète frequentò il collegio abbandonandolo quando aveva 15 anni, conservando il ricordo di Alphonse Bònnafe, suo professore e poi suo primo biografo, che gli trasmise l'amore per la poesia e seppe iniziarlo con passione ai versi di Verlaine, Baudelaire, Valéry e Mallarmé.
Giorgio Conte, fratello di Paolo, ottimo compositore
Da subito, grazie alle vaste letture giovanili, Brassens s'impadronì così di un vasto vocabolo poetico, che tuttavia non gli impedì di restare legato al linguaggio d'uso comune ancorato alla tradizione a volte irriverente dell'arte popolare. Nel 1939, diciottenne, lascia il suo paese natale per trasferirsi a Parigi, come ricorda nella canzone Tes ricochets. Nella capitale vive presso una parente e passa le sue giornate nelle biblioteche leggendo i massimi poeti. A partire dal 1946 cominciò la sua collaborazione al Libertaire, rivista anarchica; simpatizzante di questi ideali, per tutta la vita Brassens esprimerà, con l'irriverenza delle sue canzoni, la sua volontà di lottare contro l'ipocrisia della società e le convenzioni sociali.
Ma il tempo
è quello della guerra
e dell'occupazione. Così nel 1943 il giovane Brassens è costretto ad andare in Germania chiamatovi al servizio di lavoro obbligatorio (S.T.O., Service Travail Obligatoire). Al ritorno, si stabilisce in un pensionato presso Jeanne e Marcel, una copia tanto generosa quanto povera l'atmosfera della cui casa compare spesso nelle canzoni. Il successo arriva intorno al 1952, passati i trent'anni, ed è un successo immediato nonostante la radio censuri buona parte delle canzoni considerate sovversive o scandalose. In quell'anno Brassens incontra il grande chansonier Jacques Grello, che lo incoraggia a continuare a scrivere e a cantare e prova a organizzare per lui i primi spettacoli, per farlo conoscere al grande pubblico. Poi lo presenta a Patachou, già protagonista della vita parigina, che affascinata dalle sue canzoni decide di interpretarle nel suo famoso cabaret-ristorante di Montmartre.
    Per Brassens,
    il successo,
arriva come autore. Canzoni come Le gorille o La mauvaise rérutation non sono però scritte per essere interpretate, da una voce femminile e così è Patachou stessa a convincere Brassens ad interpretarle, esibendosi in pubblico. Con una posa da contenere tutto il palcoscenico. In questo Brassens.
Immenso
prestigio
Brassens passa il resto della sua vita a studiare, leggere e comporre, apparendo in pubblico solo in occasione di concerti. Nel 1967 gli viene attribuito il Premio di poesia della prestigiosa Académie Française. Muore a 61 anni per un male incurabile. Le canzoni di Brassens sono state interpretate da un gran numero di artisti, da Graeme Allwright in inglese a Paco Ibanez in spagnolo e naturalmente a Fabrizio De André. Nella lunga lista di artisti francesi che hanno cantato, o continuano a cantare Brassens spiccano Maxime Le Forestier, Renaud, Barbara. Del resto, a Brassens gli estimatori anche di immenso prestigio non sono mai mancati. Gabriel Garcia Marquez lo reputava il maggior poeta francese contemporaneo. E aveva ragione.

giovedì 25 giugno 2015

Avventura a Durango



DURANGO
Story
d'Amore, Coltelli,
Tequila e Fucili











Mescita a Durango

Peperoncini rossi nel sole cocente polvere sul viso e sul cappello…. inizia così un capolavoro del folk americano di Bob Dyalan: Avventura a Durango. Da questo passo di note, si sviluppa un opera top, poi tutta la canzone che ha come protagonisti due fidanzati che fuggono verso Durango dopo che lui ha ucciso una persona in un'osteria. 
Roma nce 
in    Durango
fa parte di uno degli album più famosi di Bob Dylan, Desire che De André considerava uno dei meglio riusciti del cantautore americano e che, nello specifico l’ascoltò insieme a Bubola mentre lavoravano sull'album Rimini.
  Spagnolo meridionale
La canzone era stata scritta da Dylan e Jacques Levy, suo collaboratore in quell'album, con un ritornello in spagnolo e il resto dei versi in inglese. De André e Bubola tradussero piuttosto fedelmente la parte in inglese, mentre scelsero di "rendere" lo spagnolo con un accento meridionale.
In pratica la storia di un avventura a causa di un omicidio. "Se nelle regioni meridionali non ci fosse la criminalità organizzata, come mafia, 'ndrangheta e camorra, probabilmente la disoccupazione sarebbe molto più alta". Un'immagine giovanile di Fabrizio De André.Ecco l'ultima staffilata che, nell'agosto 1998, sollevò un'ondata di proteste e sdegno tra gli esponenti di quella classe politica e sociale che De André racchiudeva nel suo concetto di borghesia. Gli stessi che gridavano allo scandalo quando De André dedicava le sue strofe a prostitute, lestofanti e suicidi e che, alla sua morte, lo avrebbero osannato definendolo "Grande Poeta".
Massimo Bubola e Fabrizio De André
Rallentata rispetto all'originale, perché si potessero meglio pronunciare le parole e abbiamo avuto l'idea, giudicata molto strana all'epoca, di tradurre il ritornello dallo spagnolo al napoletano. Gli americani hanno familiarità con lo spagnolo, non foss'altro che per ragioni di immigrazione è la seconda lingua in Usa, ma da noi un ritornello in spagnolo non avrebbe avuto senso. Le musiche sono rimaste direi inalterate, rispettando i suoni in nacchere e conga latino-americano.
Pancho Villa
a Durango
Avrebbe avuto
senso in napoletano, perché saremmo stati speculari al testo originale". Ecco allora “No allores, mi querida, / Dios nos vigila diventare un verosimile "nun chiagne Maddalena Dio ci guarderà", mentre Agarrame, mi vida diventa" si trasformerà in “strigneme Maddalena / 'sto deserto finirà", mantenendo così il senso del verso originale. La storia è quella di una coppia che fugge dopo che l'uomo ha commesso un omicidio, probabilmente senza averne l'intenzione. Vogliono raggiungere Durango a cavallo e l'uomo cerca di consolare la donna, che si dispera per la situazione. Le prospetta la fine del viaggio, quando arriveranno a Torreòn, come - il disco di Bob Dylan da cui tratta i loro antenati al seguito di Pancho Villa.
Messico, torero incornato

E' stata
una canzone contesa, 
forse per le lingue, per i dialetti, per i luoghi che chiama in causa e altro ancora. E' un brano che somiglia alla filastrocca "Volta la carta" un brano "popolare", dai toni all'incirca scozzesi, e ottimi violini in contralto, che favoleggia l'odissea e la tribolazione per portare a termine una storia d'amore con una certa Angiolina, impreziosendo una romantica fisarmonica che evidenzia l'azzeccato leit motiv dei ritornelli, creando sinfonie dai rimandi messicani, dove si dice ancora se ti piace il dolce, devi sopportare anche l’amaro. Lo diceva Amado Carrillo Fuentes, re del narcotraffico negli anni Novanta.
Avventura a Durango, Francisco Pancho Villa
 Nun             chiagne
Maddalena 
Avventura a Durango, lì andranno alla corrida e lui la sposerà i corredo di fiori bianchi e gialli, con meloni e noci di cocco con succo di cocco e avena di granchio. Ma la loro fuga viene interrotta da un colpo di fucile che colpisce l'uomo alla schiena e la canzone non dice come finirà la storia.
Puerta de Durango
Se riusciranno a respingere gli inseguitori o se la loro storia finirà lì, sulla strada per Durango, è lasciata alla fantasia dell’ascoltatore. Ma nell'aria si sente colpo di fucile, e Ramon ha nella schiena un dolore caldo. Suggerisce a Maddalena siediti qui, trattieni il fiato, forse non sono stato troppo scaltro, ammette amaramente Ramon. E la versione siciliana di De André riprende con un potente: "Non chiagne Maddalena, guarda bene da dov’è partito il lampo, miralo bene cerca di colpire potremmo non vedere più Durango. Svelta Maddalena prendi il mio fucile è il finale dove il protagonista muore e la sua donna incaricata di fare fuori e mirare bene il colpo, prima che sia lui a farlo contro noi"
Berremo, e
forte,
tequila! 
Si diceva che la traduzione è piuttosto fedele all'originale, con qualche variazione. All'inizio, per esempio, è inventato lo scambio della chitarra con un fucile e una pizza (nell'originale, si tratta di ricevere un rifugio e delle briciole di pane). La faccia insanguinata di Ramon si è trasformata nel suo collo insanguinato.
     A Durango!
Per la performance Avventura a Durango o Romance in Durango (per i puristi) di Bob Dylan d andrè. Faber ricevette diversi riconoscimenti, congratulazioni e felicitazioni, ma ovviamente il il commento fu più vibrante è quello che di Dylan ha rivolto a De André, soprattutto per l'ottima traslazione per l'Avventura a Durango in Messico dei due fuggitivi, dall'ambientazione tipo western e dalla musica di indubbio colore messicano (anche se i ritornelli sono cantati in napoletano).
La libertà è     quella del     viandante, 
del nomade, come anche nella dolcissima favola di "Sally", storia fatata di un bambino a cui la madre raccomanda di non giocare con gli zingari nel bosco, ma siccome "il bosco era scuro, l'erba già alta... lì venne Sally con un tamburello" sparisce e si unisce al loro vagabondare. La impreziosisce una romantica fisarmonica che sottolinea l'azzeccata melodia dei ritornelli. Lui è chi è stato legato a un palo dell'Hotel Supramonte dove ha visto una donna ed ha addolcito di fame e ha ascoltato i racconti dei banditi e ha conosciuto una loro cura che nessun detenuto di questo Paese ha provato. Lui è chi ha perdonato con gratitudine che l'aveva rapito. Lui è chi ha visto al collo di Teresa una lametta vecchia di cent'anni. Lui che mastica le acciughe e poi sputa.

Nella terra dove i nostri antenati
Il riferimento a Pancho Villa nella versione originale è più corposo, mentre nella traduzione lo si menziona solo come spettatore alla corrida. Francisco Pancho Villa (pseudonimo di José Doroteo Arango), eroe della rivoluzione messicana, combattente con i peones contro i latifondisti, era nato vicino a Durango, appunto, nel 1878.
Nella versione
di Dylan.
Si cita la sua famosa vittoria contro i federali a Torreòn: "Berremo tequila nella terra dove i nostri antenati / entrarono con Villa a Torreòn". Il tratto nervoso di penna sul foglio bianco. La scrittura collerica, scattante, agitata, rapida ed elegante (sia nel carattere a stampatello che in corsivo) di Dyaln, s'interrompe il testo di frequente, si cancella, fiorente, florido, controllato, misurato, lento, tardivo, pesante, prolisso, arzigogolato, lezioso, quieto, tenero e rilassato, sereno, tranquillo, olimpico, pacifico, placido, resi corregge, traccia segni su parole pastrocchiata tra un napoletano, un improvvisato latino, per ribasare il tutto al folk americano per cui la ripartenza è immediata.
Occhi smeraldini
di      ramarro
De André con il poeta e amico Riccardo Mannerini
Mannerini, un “grande” 
 sconosciuto
Il vestito da sposa e il relativo, implicito matrimonio sono diventati una più generica comunione sotto il velo. Il Dio di Dylan-Levy ha gli occhi di serpente Levy, tipici delle divinità religiose degli Aztechi, che in Messico sono diventati occhi smeraldini di ramarro. Infine, quando l'uomo è colpito, in Dylan il dolore che sente è "acuto" mentre in De André-Bubola è, molto più espressivamente"caldo". Variazioni minime a parte, l'adattamento piacque molto a Bob Dylan che scrisse un biglietto di apprezzamento alla casa editrice.