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lunedì 23 marzo 2015

Le guerre di Piero

 Aveva il tuo stesso identico umore
  ma la divisa di un altro colore

Le canzoni hanno un senso, non perché possano evitare le guerre: non è facendo canzoni contro i conflitti bellici che si eviteranno le guerre. 
Tuttavia esse entrano a far parte del patrimonio culturale di un popolo, sono parte della coscienza, se non altro a livello subliminale. Dunque possono essere un buon deterrente. Questa, è la loro importanza

Le guerre di Piero


        di Matteo Tassinari
Non vi è   dubbio: "La guerra di Piero" è undelle più famose canzoni scritte in Italia contro la guerra, entrata a pieno titolo, come tale, nelle antologie e nel patrimonio della nostra cultura scritta da Faber. Fabrizio De André ne era particolarmente soddisfatto, anzi scriverei più che entusiasta della canzone prodotta: "La guerra di Piero", anche se temeva i relativi effetti di "imbalsamazione". Cioè? Argomento acuto e pulsante per De André quello della imbalsamazione culturale e immaginifica. Ha sempre pensato che uno comincia a scrivere per divertirsi e divertire gli altri. Se ha culo, addirittura lo istituzionalizzano, così invece di rimanere un cantautore, una persona normale, finisce per essere una cosa che si va a vedere poi al Museo Egizio di Torino, ahimè. T'imbalsamano. Ecco le parole di Faber a Mollica del TG1:
"Un modo per imbalsamarti - disse De André - è quello di mettere una tua canzone magari su un'antologia scolastica. Non dico che non ci tengo, perché anch'io ho il mio amor proprio, anch'io sono un piccolo borghese, e in qualche misura mi hanno pure istituzionalizzato, quindi figurati se non ci tengo. Però c'è il rischio di rimanere ingessati, impalcati in figure che senti non corrisponderti. E questo da molto fastidio". Un tema, da sempre, molto caldo per Fabrizio quello di essere libero da ogni condizionamento culturale o anche solo intellettuale, dove lo spazio per sparare cazzate è maggiore. L'importante per lui era avere il proprio distacco da tutto, affinché ognuno abbia integra la propria libertà.  
Biagio Buonomo, 
uomo di grande cultura e acutezza intellettuale e scrittore oltre che autore del libro: “Fabrizio De André. Le storie, la storia questa canzone", costituisce il vertice più alto della poesia deandreiana, insieme, probabilmente, a "Crueza de mà", dove il mescolio di dialetti e note e strumenti mediterranei e odori e visioni. Non per niente fu quella che fece nascere in Fernanda Pivano il desiderio di conoscerne l'autore per poi innamorarsene e viceversa da parte di De André. Da qui nacque la collaborazione sui testi di Edgar Lee Master e una sorta di collaborazioni coi poeti della Beat Generation.
  Faber
      aveva      affrontato
il tema della guerra in modo molto diretto già con “La ballata dell'eroe”, ma è solo con “La guerra di Piero” che riesce a colpire veramente nel segno. Tant'è che le due canzoni verranno proposte nel 1964 in uno stesso 45 giri. La ballata nasce dalle storie raccontate al piccolo Fabrizio dallo zio Francesco che aveva fatto la campagna d'Albania e poi, preso prigioniero, aveva trascorso due anni in un campo di concentramento a Mannheim correndo anche il rischio di passare per il forno crematorio.
Da quella
esperienza
non era riuscito a riprendersi mai più e quel poco che ne raccontò, di malavoglia, su sollecitazione di Fabrizio e del fratello Mauro, bastò per lasciare un segno profondo e indelebile nell'animo dei due ragazzi.
La canzone racconta di un Piero qualsiasi che deve lasciare i suoi campi durante l'inverno per avviarsi alla guerra, con l'animo di chi è costretto a farlo ("te ne vai triste come chi deve"). Punto di riferimento stilistico è sempre quello di Georges Brassens, versi colti come rose e girasoli "costretti" a guardare il sole, a loro non fa male agli occhi.
Edith Piaf
      A nulla
     valgono
    le voci
dei morti in battaglia -"chi diede la vita ebbe in cambio una croce" - che gli dicono di fermarsi. E così, mentre il tempo passa "con le stagioni a passo di giava" si ritrova, in primavera, a varcare il confine a lui sconosciuto. Per inciso, la giava è un ballo nato ed entrato in gran voga in Francia dopo la prima guerra mondiale, il cui nome deriva dall'isola omonima. Per avere un'idea del suo ritmo - una specie di misto tra una mazurka e un valzer viennese - si può ascoltare “L’accordeoniste”, canzone del 1942 cantata da Edith Piaf: "Au son de la musique... Arrêtez la musique!"

     Poetar      narrante
O "Petit cabanon", canzone degli anni Trenta eseguita da interpreti diversi. Una somiglianza a tratti non banale si riscontra con il ritmo del deandreaiano: S'ì' fosse foca, arderei, s'ì fosse vento, lo tempesterei, s'ì fosse acqua, ì l'annegherei. S'ì fosse Dio, manderei l'en profondo, s'ì fosse papa sarè allor giocondo che tutti i cristiani imbrigherei, s'ì fosse 'mperator sa che farei? A tutti mozzerei lo capo a tondo, s'ì fosse morte andarei da mio padre. S'ì fosse vita fuggirei da lui similmente faria da mì madre. S'ì fosse Cecco il bello come sono e fui, "torrei" le donne giovani e leggiadre e vecchie e laide le lassarei ad altrui. Ma chi scrive cose così, adesso? Pochissimi, si contano sulla dita di una mano, the must Cecco Angiolieri! Tutta poesia mancante, nell'era di Simona Ventura e Maria De Filippi!


L'anima
sulle spalle
Segue  la strofa che è marchiata a fuoco nell'anima di chiunque l'abbia ascoltata che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore. Due uomini resi diversi e separati solo da un pezzo di stoffa, da onorificenze per altri morti in altre guerre di Piero. Le immagini usate lungo tutta la canzone sono di una bellezza lancinante ma queste, nella loro semplicità, se possibile, le superano. L'anima portata "in spalle" perché non si può andare in guerra avendola nel cuore e poi il nemico, esattamente uguale a te, con il "tuo stesso identico umore", solo "la divisa di un altro colore e mentre marciavi con l'anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle".
Il dovere impone a Piero
di uccidere il nemico e così si appresta a fare. Ha solo un breve pensiero, un'incertezza, un'esitazione, un impaccio d'amore, uno scrupolo, un tentennamento che gli costerà il sangue caldo che scorre nelle vene di Piero, un indugio sul come e magari anche sul perché sparare a quell'uomo in fondo alla valle? Perché uccidere quella persona che neanche sapeva cosa avesse fatto nella sua breve vita. Quest'incertezza gli sarà fatale, divenendo deleterio come un chiodo da catafalco questo sua impasse d'amore, di vita ardente, ed era maggio, nel frastuono colorato di un campo di papaveri rossi. Il nemico, uguale a lui ma con maggior paura in corpo, lo vede, spara e lo uccide senza neanche pensarci, quasi, viene da pensare, per puro istinto di conservazione.
Foto di Robert Capa

Ninetta mia morire di maggio,
ci vuole troppo coraggio
Piero capisce subito di essere stato colpito a morte e sente, mentre cade a terra le forze venire meno, che il suo tempo dilegua rapido, non gli basterà nemmeno per "chieder perdono per ogni peccato". Muore così, con un pensiero alla sua Ninetta e con l'amaro dispiacere di morire di maggio, il fucile ancora in pugno e in bocca parole "troppo gelate per sciogliersi al sole". Ora dorme sepolto all'ombra e in compagnia di mille papaveri rossi, poco più in la un'altro Piero, poi un'altro ancora, poi poco più in la, un altro ancora. Un campo che apre tutto alla vita, ma fra i suoi arbusti nasconde morte di guerra, quel drago proveniente da tutti i mari glaciali, un'ultima Thule dove ogni desiderio sarà spento per sempre.
Evaporato in
una nuvola      rossa
La musica, ancora di stile brasseniano, fu composta da Fabrizio insieme a Vittorio Centanaro nato a Genova e a Genova morto nel 2011 e primo chitarrista di Faber e compositore italiano, che al proposito ricorda: "Fabrizio era un geniaccio per i testi ma di musica ne masticava ancora pochina: quando poi abbiamo scritto insieme “La guerra di Piero” facendo molto affidamento sulle mie capacità. Sua e mia moglie chiacchieravano fra loro, noi due lavoravamo alla canzone, che poi andammo a incidere a Roma. lo non potevo firmarla, poiché non ero iscritto alla SIAE, così fu depositata a nome solo suo".
La canzone    non ebbe  
un successo immediato. Nelle parole di Fabrizio. Quando uscì "La guerra di Piero", rimase praticamente invenduta. Divenne un successo clamoroso solo cinque anni dopo, con il boom della protesta, con Dylan, Donovan e compagnia folk beat generation. S'incanalò nelle serie dei grandi successi mondiali, da lì, de André, spiccò il volo, artisticamente.
Allan Bob Zimmerman da giovine
      E’ chiaro che qui
     il riferimento è
all'arrivo e al successo delle canzoni di Dylan in Italia. Dylan in realtà aveva scritto “Blowin in the wind”, il suo manifesto pacifista, nel 1962, un anno prima della Guerra di Piero. Sono stati proposti e approfonditi richiami 19 (magari fortuiti) tra “La guerra di Piero” e una poesia, “Le dormeur du val” (L'addormentato nella valle), di Rimbaud e una canzone di Gustave Nadaud, “Le soldat de Marsala”. La poesia di Rimbaud, scritta nel 1870, descrive un giovane soldato immerso nella natura. Sembra dormire nel sole. Ha però due fori sul costato. È morto. Oltre all'analogia più generale, tematica, sono stati indicati tratti lessicali precisi, dallo stesso "giovane soldato" che "dorme" al "ruscello". Inoltre, anche nella poesia di Rimbaud il tono narrativo è interrotto da un'invocazione del narratore, qui in realtà rivolta alla Natura e non al soldato. Una canzone semplice, ma topica proprio per la sua immediata comprensibilità, per la sua immediata cognizione. Come se quella di Piero, per spontanea creazione umana, fosse la guerra di tutte le guerre.
Jean Nicolas Arthur Rimbaud
Non sappiamo se Faber conoscesse

i versi rimbaudiani,
probabilmente sì. Ma mentre la poesia suscita dispiacere per il soldato morto la canzone va molto oltre, sottolineando l'orrore e l'assurdità della morte tra "uguali" ma dalla divisa di diverso colore e questo non era tollerabile. Molto più vicina a "La canzone di Piero", appare la canzone di Gustave Nadaud, celebre chansonnier francese e autore di alcune memorabili canzoni a sfondo politico e sociale, tra queste la famosa "Le roi boîteux", ripresa e cantata anche da Georges Brassens, forse l'autore più amato da De André, anzi senza forse.  
Gustave Nadaud
Sconosciuto
Naudad
Nadaud, nessuno lo conosce, eppure lui è stato, forse, il primo cantautore in senso moderno pur essendo nato nel 1820. Nel 1861, parlando dei garibaldini, racconta in un brano, di due soldati di opposte fazioni che si incontrano, armano il loro fucile e sparano. Qui il protagonista della canzone è però quello che non sbaglia il colpo e uccide un soldato del Re appena ventenne. Compiuto il fatto se ne dispiace, chiede perdono al nemico ucciso e lo consola nei suoi ultimi istanti di vita. Eccone un breve brano: “Un giorno ero solo nella piana quando mi ritrovo davanti un soldato d'appena vent'anni che portava i colori del Re. Oli vedo spianare il fucile: era suo diritto. Io armo il mio, lui fa quattro passi, io ne faccio quattro, lui mira male, io miro bene”. Osservando il testo della poesia del giovane poeta francese, il livello discorsivo è frammentato da imprecazioni.